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“Outstanding Female Dancer” Swiss Dance Awards 2019

Anne Davier
Head of ADC Theater — Geneva

She has worked for artists like Gilles Jobin, Gisèle Vienne, La Ribot… Marie-Caroline Hominal has estab- lished herself as a major figure in the arts field through personal creations, performances and videos since 2006. Her multiple collaborations and a diverse range of formats (from a one-on-one performance in a box, to radio work, video and visual art, etc.) all contribute to the originality of her artistic vision.

I like her universe, a baroque world in which identities are blurred, where the tragic and the comic merge, sometimes darker, tending towards a sort of troublant ritual, sometimes eccentric, sometimes melancholic.

Above all, Marie-Caroline Hominal touches the soul of the theatre. Behind her mask, she is herself and nothing else. She offers the gift of her presence and affirms that the theatrical space is sacred, protected and haunted, that it is based on

a symbolic exchange between the actor and the audience, a play that unites us in the present moment.

Anne Davier
Directrice de l’ADC — Genève

Marie-Caroline Hominal a travaillé avec des artistes comme Gilles Jobin, Gisèle Vienne, La Ribot… .
Sa recherche personnelle, amorcée en 2002 autour d’un travail vidéo, s’oriente plus décisivement vers la chorégraphie à partir de 2008 avec la création de Fly Girl. Dans ce solo, la danseuse oscille entre représenta- tions de la sexualité et de la violence dans un jeu de provocations qui mine et démultiplie les identités.

Volontiers kitsch, son univers se construit progressivement avec divers mediums : texte, musique, danse, vidéo, jeu avec des objets
… Proches du champ de la perfor- mance, ses créations sont, depuis 2008, présentées aussi bien dans des théâtres que dans des lieux plus aty- piques, comme une chambre d’hôtel ou une loge.

Marie-Caroline Hominal est aujourd’hui l’une des figures majeures de la scène chorégra- phique contemporaine en Suisse. J’aime son univers et ses identités floues, tout comme j’aime me plon- ger dans le monde baroque qu’elle parvient à créer. Un monde souvent sombre, dans lequel le tragique

et le comique se confondent. Le spectacle y est une sorte de rituel troublé, parfois excentrique, parfois mélancolique.

Derrière son masque, Marie-Caroline Hominal n’est rien d’autre qu’elle- même. En offrant le don de sa pré- sence, elle affirme combien l’espace théâtral est sacré, protégé et hanté.

Marie-Caroline Hominal is exceptional in many ways. Only when you’ve heard her caterwauling like one of the living dead, a mask of horror on
her face, in ‘Hominal/Öhrn’, or admired her as she takes on voodoo spirits in ‘Froufrou’, can you appreciate the power of her interpretation, her gift for metamorphosis. For her, dance is a movement towards an elsewhere,
a sometimes whole-body experience of otherness; she is guided solely by intellectual, ethnological and poetic curiosity. Hominal fuses impeccable technique with often astonishing inventiveness. She weaves spells that have a lasting impact, in Switzerland and abroad.

Hors du commun, Marie-Caroline Hominal l’est à plus d’un titre. Il faut l’avoir entendue feuler en morte-vivante, un masque d’épou- vante sur le visage, dans ‹ Hominal/ Öhrn ›, ou l’avoir admirée commer- cer avec les esprits vaudous dans ‹Froufrou›, pour saisir sa puissance d’interprétation, son don pour la métamorphose. La danse chez
elle est mouvement vers l’ailleurs, expérience, à corps perdu parfois, de l’altérité : seules la guident ses curiosités intellectuelles, ethnolo- giques et poétiques. L’artiste allie une technique impeccable et une invention souvent stupéfiante. Ses sortilèges marquent, en Suisse et à l’étranger.

‘Fanfara Favolosa’ nel Sociale felliniano

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25 anni fa, il teatro riapriva omaggiando Fellini. Quello della Civica Filarmonica ‘diretta’ da Marie-Caroline Hominal, questa sera e domani, è un amarcord.

“Il palco del Teatro Sociale di Bellinzona si è di nuovo animato di luci, musiche e sensazioni grazie alla prima mondiale dello spettacolo ‘Snaporaz Fellini’. La pièce, messa in scena dalla Compagnia Teatro dell’Archivolto di Genova e diretta da Giorgio Gallione, ripercorre i ricordi, i sogni e i fantasmi del grande regista Federico Fellini, scomparso 4 anni or sono”. Sì, c’è un errore. Federico Fellini non è morto 4 anni fa; saranno trent’anni a ottobre. È che il pezzo dal quale l’incipit è tratto inizia con “Dopo ventisei anni di attesa”, e apparve sulla RegioneTicino del 10 ottobre 1997, giusto un giorno dopo la riapertura del teatro bellinzonese. Si parla della prima del 9 ottobre, con foto del pubblico in sala e locandina dello spettacolo. Su questa scia spazio-temporale, questa sera e domani, sempre alle 20.45, il Teatro Sociale proverà a riprodurre quell’emozione lontana, per ricordare i 25 anni dalla riapertura della struttura e attingendo dallo spirito onirico del mondo creato dal grande regista italiano, suoni e visioni che ancora aleggiano nella struttura (ne sono convinti gli organizzatori, e dopo la prova generale vista mercoledì sera – per quanto la location già faccia tanto di suo –si può dire che non parlano a vanvera…).

Il tutt’uno Nino Rota
Nel 1997 fu una compagnia teatrale; oggi è una filarmonica, la Civica Filarmonica di Bellinzona; venticinque anni fa fu Giorgio Gallione, oggi (e domani) è Marie-Caroline Hominal, prestigiosa artista associata del Teatro Sociale di Bellinzona, che ha allentato le ‘rigidità ’ delle filarmoniche e rimestato il rapporto palcoscenico-platea, quello palcoscenico-galleria e ogni altro luogo possibile. Compreso il direttore d’or – chestra, coinvolto anch’egli nella teatralità del tutto. Franco Arrigoni, restando per un attimo alla sola musica, dirige la Civica Filarmonica nelle composizioni scritte da Nino Rota, chi altri, musicista che fu un tutt’uno con Fellini da ‘Lo sceicco bianco’ (1952) a ‘Prova d’orchestra’ (1978), colonna sonora registrata poco prima di morire, il 10 aprile di 44 anni fa. Rota che fu da Oscar per la miglior colonna sonora nel 1975, non felliniana ma che la Civica omaggia, riproponendo dal ‘Padrino’ il celebre ‘Tema d’amore ’. Felliniana è invece la suite da ‘La strada’, che ogni volta prende allo stomaco; felliniani sono gli estratti da ‘Ot – to e mezzo’, ‘Giulietta degli spiriti’, ‘La Dolce vita’, ‘Amarcord ’ e tanto altro.
In ‘Fanfara Favolosa’, Hominal cura regia e coreografia. Al suo fianco, Rocco Schira. Senza entrare troppo nei dettagli, il palco –inizialmente ‘allo stato brado’ – è allestito in diretta dai musicisti, alcuni di essi simpaticamente felliniani nel doversi presentare al pubblico, e felliniani in pieno in quel che vien chiesto loro di fare sin dall’inizio. Il resto lo fanno il Sociale, la musica e l’onirico di cui sopra. Ed è vero quanto dice Hominal sul fatto che “immaginare questo progetto in un magnifico teatro all’italiana ha la grandiosità di un intero corpo di ballo”, perché la filarmonica a modo suo danza, sulle note che hanno “nutrito la mia infanzia”, l’infanzia di Hominal ma anche l’infanzia di tutti, o almeno di molti. Di tutto l’onirico annunciato, spicca un momento/citazione di ‘elevazione ’stru – mentistica reso particolarmente suggestivo dal disegno luminoso di Marzio Picchetti.

Fino in fondo
“Per rendere omaggio ad un monumento della cultura cinematografica mondiale come Fellini ci sono solo due strade: o si è totalmente altro, oppure si è felliniani fino in fondo. Ogni via di mezzo è necessariamente un’operazione incompiuta”, scriveva nel 1997, dopo la ‘prima’ di Gallione, un giovane Gianfranco Helbling (che adesso vecchio non è; sono quelle cose che si dicono quando si spulciano gli archivi). Lo scriveva in veste puramente giornalistica e sempre su queste pagine, un tempo in un compostissimo bianco e nero alla ‘Otto emezzo’. E questa ‘Fanfara Favolosa’, che si appropria del teatro e lo fa suo (fa suo il teatro e non soltanto quello, ma bisogna aspettare la fine…), è felliniana quanto basta. Basta e avanza. Avanza in tutti i sensi, anche in quello prettamente motorio. Buona visione a chi ci sarà, dunque. E se non fossimo stati abbastanza chiari, “nulla si sa, tutto s’immagina” (ipse dixit).

Un compleanno al ritmo di una Fanfara Favolosa

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Appuntamento da non perdere, quello che andrà in scena al Teatro Sociale di Bellinzona stasera e domani alle 20.45 per festeggiare, insieme alla Civica Filarmonica, i 25 anni della «seconda vita» del Teatro Sociale di Bellinzona

Il 9 ottobre del 1997, con la prima assoluta dello spettacolo Snaporaz Fellini di Giorgio Gallione, il Teatro Sociale di Bellinzona riaprì i battenti dopo il recupero a furor di popolo e il successivo lungo lavoro di restauro che lo riportò all’attuale splendore. Sono passati 25 anni da allora e quella in svolgimento è quindi una stagione importante perché segna un anniversario che vuole sottolineare la forza della presenza di questo «luogo d’arte ». Lo spettacolo Fanfara Favolosa, vuole quindi festeggiare il traguardo raggiunto riprendendo il discorso da dove iniziò un quarto di secolo fa: da Fellini e dalla sua poetica, che verrà evocata grazie alla Civica Filarmonica di Bellinzona che proporrà i temi che Nino Rota scrisse per i film del genio riminese e sarà, nel contempo, guidata nelle coreografie sviluppate appositamente da Marie-Caroline Hominal. «Sarà un concerto sorprendente, che assume le sembianze di un vero e proprio spettacolo » ci dice Gianfranco Helbling, direttore del Teatro Sociale di Bellinzona dal 2012, quando prese il posto del primo direttore, Renato Reichlin. «Naturalmente siamo ben consapevoli che i componenti della Civica Filarmonica sono degli ottimi musicisti, ma – ovviamente – non hanno un’educazione al movimento in scena, quindi l’idea di inserirli in una coreografia è stata una piacevole sfida. L’intenzione era quella di far vivere la Civica Filarmonica in relazione al Teatro, creando uno spettacolo che combinasse i due aspetti della rappresentazione teatrale: la musica e la messinscena. Questo proprio per sottolineare da un lato l’anniversario dei 25 anni e dall’altro per far vivere il Teatro Sociale in un modo molto “bellinzonese” ». La parte coreografica è stata sviluppata, come detto, da Marie-Caroline Hominal, da tempo artista associata del Teatro Sociale grazie ad un contratto di prestazione che lega il Sociale alla Città di Ginevra e al Centro Culturale Svizzero di Parigi. Ancora Helbling: «L’idea dello spettacolo è nata in parte dalla Hominal che da tempo coltivava il desiderio di lavorare ad uno spettacolo con dei dilettanti con poca o nulla esperienza nel mondo della danza e in parte dal nostro desiderio di rimarcare i 25 anni dalla riapertura del Teatro Sociale. La Civica Filarmonica era dunque perfetta perché da una parte ha portato le necessarie competenze dal lato musicale e dall’altro ha saputo mettersi in relazione e trovare il modo di “comunicare” con Marie-Caroline Hominal, in un progetto che implica un impegno normalmente estraneo al mondo professionale dei musicisti». L’ochestra diventa così essa stessa un elemento «felliniano », allineandosi al contesto musicale della serata: «Tutta la serata sarà sulle musiche dei film di Fellini, da La strada ad Amarcord, passando per La dolce vita e 8 e ½. È un richiamo al senso onirico che è implicito nella finzione teatrale: in questo senso, sarà un’orchestra un po’ surreale, che potremo osservare da un punto di vista inusuale, come se fosse una proiezione della nostra fantasia. In qualche modo – senza voler essere presuntuoso – direi che sembrerà uscita direttamente da un film del grande regista».

La chorégraphe et danseuse a conçu avec son frère, le peintre David Hominal, «Hominal/Hominal», pièce virtuose et facétieuse, à l’affiche de l’Arsenic jusqu’à dimanche.

L’orage lui va si bien. A l’Arsenic à Lausanne, il gonfle et crache sa bile. Sur la scène, la danseuse et chorégraphe Marie-Caroline Hominal s’envole, trois secondes, le temps d’un élan et d’un saut. Il pleut des seaux à présent et ce déluge a le parfum de l’été, celui des parades adolescentes. Elle reprend sa course, Marie-Caroline, chignon de bal, jeans de road-movie, et bondit encore. Hominal/Hominal – à l’affiche jusqu’à dimanche – est un alliage de feu sacré et de rêverie, de coups de griffe et de coups de pinceau, de postures ironiques et d’abstraction lyrique. C’est une oeuvre fraternelle, signée Marie-Caroline Hominal et David Hominal.

Une histoire de radiation au fond qu’Hominal/Hominal. Un frère et une soeur s’admirent. Leur métier? Elle, elle met des gestes sur des mondes méconnus: une cérémonie vaudoue dans les dancings où des hidalgos louent leurs bras à des esseulées le temps d’un tango ou d’une valse, dans Taxi-Dancers; un cirque aux étoiles dans Sugar dance. Lui, il peint des nuits fauves, violacées parfois, dans des formats qui en imposent et aspirent le visiteur. Elle est basée à Genève. Il vit à Berlin. Ils ont voulu composer une pièce qui serait le théâtre d’un sortilège commun, l’espace d’une radiation justement. Un jeu où il n’y aurait pas de «je».

L’esprit dada
Pour elle, il a projeté sur des toiles géantes des éclaboussures roses qui sont peut-être des résidus d’astéroïdes, la signature que laisse dans le ciel une comète pressée de filer. Pour lui, elle a prolongé cette fête galactique en une série de morceaux dansés ou parlés qui forment un auto-portrait facétieux et chevaleresque, virtuose et burlesque. Hominal/Hominal relève du collage. L’esprit dada rôde. Tout comme Les Vases communicants, ce livre où André Breton raconte comment les songes mordent sur la réalité.

Du plateau – lui aussi peint par David Hominal – au rêve. Le surréalisme des Hominal s’articule là. Voyez comment ça commence. Dans l’air, la flûte mielleuse du Prélude de l’après-midi d’un faune, cette pièce de Claude Debussy dans laquelle Vaslav Nijinski se lovait en 1912, faisant scandale, tant il jouissait de s’y montrer lascif. Son préambule est sublime: une pluie d’or embrase une clairière. Marie-Caroline Hominal prend la pose, assise, une jambe allongée, un genou dressé, à l’affût comme le faune du poème de Mallarmé. Nijinski comme totem. Le dissident des Ballets russes comme ombre porteuse.

Echapper à toutes les étiquettes
Mais elle s’éclipse. En coulisses, elle revêt une combinaison gris perle. On l’entend pester contre la fermeture éclair. «Vous pourriez m’aider?», demande-t-elle à une spectatrice. Là-dessus, elle revêt un débardeur sur lequel rougeoie un gros coeur pop. Elle enchaîne les pas de ballerine – écho à son enfance, peut-être, quand elle prenait ses premiers cours de danse dans le studio de sa mère à Montreux. Et miaule pour le plaisir de se sentir féline – le tigre blanc est son animal fétiche.

Marie-Caroline Hominal joue sur tous les claviers, façon d’échapper à toutes les étiquettes. Elle se prend le pied dans le tapis. Ebauche un petit saut. Tombe encore. Se chiffonne. La voici burlesque. C’est ce qui s’appelle aussi composer avec l’angoisse.

Bientôt, elle sera de nouveau chasseresse dans Le Prélude à l’après-midi d’un faune. Ce sera l’épilogue d’Hominal/Hominal. Une manière de célébrer l’origine d’un désir. En coulisses, elle confiera au micro: «On pourrait s’échapper, rêver…» Et dans ce «on», elle inclut David qui ne perd rien de la fugue de sa soeur, assis dans la salle. Cette pièce est une offrande qu’ils se font. Ils la font aussi au public. Le poème fantasque d’un amour fraternel.

Krefeld Im Rahmen von „Museum Tinguely AHOY!“ gab es drei Performances in Krefeld zu sehen. Die WZ hat sich näher mit Marie-Caroline Hominals Auftritt im KWM beschäftigt.


Im grellen Stroboskoplicht: Marie-Caroline Hominals Performance „Eurêka, c‘est presque le titre“ im Rahmen von „Museum Tinguely Ahoy!“ im Kaiser-Wilhelm-Museum Krefeld. Foto: Laki

Im Kaiser-Wilhelm-Museum ist ein Pferd auf dem Flur. Wobei dies nicht ganz stimmt, denn eigentlich ist das Wesen, das trabt, wiehert, schaut und sogar scheut, eine sonderbare Mischung aus Mensch und mit Stoff bedecktem Holzgestell. Marie-Caroline Hominal bahnt sich, die passenden Geräusche selbst beisteuernd, in Ballettschuhen auf einem Holzbock reitend, was sonst aus Holzplatten Schreibtische für urbane Einraumwohnungen macht, ihren Weg durch das Publikum im ersten Obergeschoss des Museums. Dort wird derzeit eigentlich eine Video-Arbeit von Odenbach gezeigt, doch diese ist ausgestellt, weil an diesem Tag ohnehin einiges anders ist in der Kunststadt Krefeld.

Drei Performances vor und im Kaiser-Wilhelm-Museum

Das Schiff des Museums Tinguely aus Basel ankert in Uerdingen und hat auch Performances mitgebracht, die sich mittelbar, eher assoziativ mit dem Schweitzer Künstler auseinandersetzen. So auch die Performance von Marie-Caroline Hominal mit dem Titel „Eurêka, c‘est presque le titre“, die speziell für die Tinguely-Tour geschaffen und im Museum gezeigt wurde. Zuvor war schon „Body Instruments“ von Nevin Aladağ am Schiff und vor dem KWM zu sehen. Nach Hominals Aktion wiederum wurde noch „The Lady of the Lake“ von Keren Cytter gezeigt.

Aber der Fokus sei hier auf die Arbeit von Hominal gelegt, die sich mit Tinguelys Bezugspunkten, vielleicht mehr mit seiner Aura, einer Haltung auseinandergesetzt hat, als direkt eine Hommage an ihn zu gestalten. Tinguely stellte Paradigmen von Kunst in Frage, schuf aus Schrott „lebendige“ Kunstwerke. Das Sammeln von Spuren der Welt, die vielleicht auch fallen gelassen wurden, ist ein zentrales Moment und das daraus konstruieren von neuen Realitäten, vielleicht.

Genau dies hat Hominal in ihrer zwischen Melancholie, Hybris, Humor und märchenhafter Verfremdung changierenden Performance auch getan. Sie sammelte Artefakte aus Erinnerungen aus stereotypen Motiven und transformiert sie in einen Prozess. In einzelnen Szenen entstehen aus Utensilien, wie etwa dem „Pferd“, später auch weiteren, bisweilen etwas enigmatischen Bezügen zu unterschiedlichen kunsthistorischen Referenzen, neue Figuren. So jongliert sie etwa mit an Bauhaus erinnernden Formen. Es scheint immer auch um „Ermächtigung“, um sich behaupten zu gehen, ein Kampf gegen Kräfte, die sonderbar einwirken. Dazu passt die Verkörperung eines Tigers, die Befreiung aus einem glänzenden Knäuel oder das Besenreiten einer Hexe – die hier für eine freie, selbstbewusste mit Energien kraftvoll spielende Frau steht. Hominal erzählt zwischendurch auch, schafft reflexive Momente, etwa wenn sie von einem Traum berichtet.

Ihre Performance taktet sich zwischen Ruhepolen und energetischen Impulsen. Changiert auch zwischen zeitgenössischem Tanz und Klangkunst. Auch der Ton, das klangliche spielt eine Rolle, immerhin spiele sie in einem Traum mit John Cage Schach. Auf reizvolle Weise wird erneut unter Beweis gestellt, dass Performance und Choreografie heute mehr und mehr verschmelzen zu gesamtkünstlerischen Ästhetiken wie hier. Gelungen.

Cheval, tigre et sorcière au KWM


A la lumière stroboscopique : performance de Marie-Caroline Hominals « Eurêka, c’est presque le titre » dans le cadre du « Museum Tinguely Ahoy ! » au Kaiser Wilhelm Museum Krefeld. Photo : Laki

Krefeld Dans le cadre du « Musée Tinguely AHOY ! » Il y a eu trois représentations à Krefeld. Le WZ s’est penché de plus près sur l’apparition de Marie-Caroline Hominal au KWM.

Dans le Kaiser Wilhelm Museum, il y a un cheval dans le couloir. Bien que ce ne soit pas tout à fait vrai, car la créature qui trotte, hennit, regarde et même hésite, est un étrange mélange d’humains et d’un cadre en bois recouvert de tissu. Marie-Caroline Hominal, apportant elle-même les bruits appropriés, chevauchant des chaussons de ballet sur un tréteau en bois, qui autrement fabrique des bureaux pour des appartements urbains d’une pièce en panneaux de bois, se fraie un chemin à travers le public du premier étage du musée. Une œuvre vidéo d’Odenbach y est actuellement présentée, mais elle l’est car quelque chose est différent ce jour-là dans la ville d’art de Krefeld.

Trois représentations devant et dans le Kaiser Wilhelm Museum

Le navire du Musée Tinguely de Bâle est ancré à Uerdingen et a également apporté des performances qui traitent indirectement, plutôt associativement, de l’artiste suisse. C’est également le cas de la performance de Marie-Caroline Hominal intitulée « Eurêka, c’est presque le titre », spécialement créée pour la tournée Tinguely et présentée au musée. Avant cela, les « Body Instruments » de Nevin Aladağ pouvaient être vus sur le navire et devant le KWM. Après l’action d’Hominals, « La Dame du lac » de Keren Cytter a été à nouveau montré.

Mais l’accent est mis ici sur l’œuvre d’Hominal, qui a traité des repères de Tinguely, peut-être plus de son aura, d’une attitude, que de lui dessiner directement un hommage. Tinguely remet en question les paradigmes de l’art et crée des œuvres d’art « vivantes » à partir de ferraille. Recueillir des traces du monde qui ont pu être abandonnées est un moment central et l’utiliser pour construire de nouvelles réalités, peut-être.

C’est exactement ce qu’a fait Hominal dans sa performance, qui alterne entre mélancolie, orgueil, humour et aliénation de conte de fées. Elle a collecté des artefacts à partir de souvenirs à partir de motifs stéréotypés et les a transformés en un processus. Dans des scènes individuelles, des ustensiles tels que le « cheval » et plus tard d’autres références, parfois quelque peu énigmatiques, à différentes références de l’histoire de l’art, créent de nouvelles figures. Par exemple, elle jongle avec des formes qui rappellent le Bauhaus. Il semble toujours s’agir d’une « empowerment » pour s’affirmer, d’un combat contre des forces qui ont un effet étrange. L’incarnation d’un tigre, la libération d’une balle brillante ou le balai d’une sorcière – qui représente ici une femme libre et sûre d’elle qui joue puissamment avec les énergies, s’intègre bien. Hominal raconte aussi des histoires entre les deux, créant des moments de réflexion, par exemple lorsqu’elle parle d’un rêve.

Sa performance oscille entre pôles calmes et impulsions énergétiques. Alterne également entre danse contemporaine et art sonore. Le ton joue également un rôle, après tout, dans un rêve où elle joue aux échecs avec John Cage. Il prouve une fois de plus de manière séduisante que performance et chorégraphie se confondent de plus en plus pour former une esthétique artistique comme ici. Réussi.

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Où pouvoir rêver, où pouvoir encore vagabonder, où s’ouvrir enfin à l’otium, quand notre monde, marchand, technologisé à outrance, n’est qu’une injonction à produire, à être efficace, à faire du rendement… ? Par certains aspects, le spectacle vivant n’y échappe pas, ordonné qu’il est par les principes du plaisir qu’on lui enjoint de procurer quoi qu’il en coûte et du politique qu’on lui impose d’incarner quand l’Etat a abandonné cette dimension. Cette terre de résistance, ce maquis, rebelle au profit, au résultat, a désormais un nom : Sugar dance. Ce lieu est un non-lieu, comme cette dance est une non danse. Hey, what did you expect ? nous susurrent le rideau à paillettes roses, ou celui, argenté, couvrant le fond de scène, ou ces marches en forme de podium au travers du plateau. Flotte indéniablement un parfum de cirque et de cabaret, mais d’après la bataille, ou bien avant qu’elle ne soit menée. Ils sont là, tous en scène, pas encore habillés de leur costume de scène. Dans cette première partie, la plus étrange et la plus passionnante, quelque chose de beckettien régit un temps décousu, à force de tentatives échouées. Ils défilent, paradent, mais rien ne se passent. Chacun retourne à son ennui, à son attente. Marie-Caroline Hominal, chorégraphe franco-suisse, nous montre comment le désoeuvrement peut faire oeuvre, comment ces êtres subtilement felliniens, êtres en devenir, échouant à se produire, apparaissent paradoxalement dans une incroyable netteté du fait de leur échec. D’ailleurs, qu’est-ce que se produire ? qu’est-ce que poser, en fin de compte ? On pense ici à Maguy Marin, et à son spectacle Umwelt, qui systématisait les entrées fracassantes, entre des portes miroirs, comme autant de manières de se produire au monde.

Dans cet inénarrable délitement, d’une poésie insensée, un cuivre aphone voisinera avec une danseuse en tenue de Pierrot, un chef de fanfare et sa grosse caisse claire, un acteur de l’Opéra Chinois à moins qu’il ne s’agisse d’un drag-queen, une chanteuse lyrique avec un tee-shirt noir marqué « Centurion » et bien d’autres encore… Marie-Caroline Hominal n’a pas peur de les abandonner au vide, de faire apparaître pour mieux disparaître ; dans son économie esthétique, la matérialité des sons tombe à plat dans le silence creux et agite au nez du spectateur la preuve de l’absence de transcendance, de magie, dans la machine spectaculaire. Le théâtre est un cirque abandonné de Dieu, comme le chantera avec justesse dans une déchirante simplicité la chanteuse lyrique, reprenant à plusieurs reprises la Passion selon Saint Matthieu de Bach.

A force d’essayer, de répéter, quelque chose du spectacle fantôme dont Sugar dance ne serait que l’ombre sublime, prendra forme, et s’arrachera au réel et à la poussière dans un tourbillon pailleté et une puissance toute dionysiaque. Une sorte de fête que l’on n’attendait plus. Et à laquelle on s’abandonnera dans une jouissance toute égoïste, avant que tous ne s’affaissent au sol, pantelants. Comme une petite mort.

Un rideau cramoisi s’ouvre et se ferme sur un petit défilé (…) Un clown cowboy joue de la trompette, une danseuse un peu ninja asiatique souffle dans un trombone, un percussioniste masqué porte un uniforme de garçon de piste… Cirque, foire aux monstres, cabaret grivois, opéra, plateau de cinéma, on trouve tout ça dans Sugar Dance. (…)
Sugar Dance donne à voir ce qui ne se voit pas, à moins de faire partie de la troupe ou d’être le concierge de la salle. C’est un spectacle d’avant le spectacle (…)
Marie-Caroline Hominal aime les feux de la rampe et les plateaux qui scintillent, et elle avoue aussi une curiosité pour les loges et les couloirs, là où le bel éclairage cède la lumière aux néons un peu blafards et son Sugar Dance bascule entre ces deux univers. (…)
C’est comme si on assistait à quelque chose de très intime, de fragile, et pour le coup, vu les circonstances de la pandémie, oui, être artiste, c’est fragile. (…)
Petit à petit, les pièces de ce puzzle s’emboîtent, les neuf personnages, dont la chorégraphe, se trouvent, ils forment troupe, ils font mouvement, élan, spectacle et on découvre que la représentation d’une répétition peut être aussi touchante qu’un spectacle classique.

Cette piste aux étoiles en lambeaux, ces silences d’avant-embardées, cette Passion selon Saint-Mathieu célébrée par une cantatrice en baskets blanches, ce passage sur pointe d’une demoiselle tombée des nues, cet écuyer fouettant un canasson fantôme, cet accroche-cœur du bitume sapé comme pour un bal. Au milieu de la tribu, Marie-Caroline Hominal, elle, butinait en chef d’équipage en attendant son heure bleue. 

Dans leurs costumes taillés sur mesure par Olivier Mulin, les interprètes pointent leur nez à travers un rideau de scène rose pour nous faire pénétrer dans leur monde du spectacle, un spectacle qu’ils préparent entre une séance de maquillage ou d’habillage, mais dont on ne verra finalement rien – mise en abyme réussie, d’autant plus en période de Covid, questionnant le sort des artistes, déjà fragiles, qui risquent de ne pas se relever de cette crise sanitaire. Chacun à leur manière dans leur « numéro », ils renvoient à ces Clowns de Fellini, (…) entre une Pierrot sur pointes ou une drag queen en robe rouge à galons militaires, artistes esseulés et touchants (…). Cirque, mais aussi foire, opéra et spectacle joyeux, Sugar Dance mêle tout cela dans une sorte de tragicomédie tendre. (…) Le spectacle ou la fête, parfois sur de la techno, continue, et continuera toujours. Marie-Caroline Hominal, dans son propre personnage de metteur en scène, en est l’artisane.

Cette piste aux étoiles en lambeaux, ces silences d’avant-embardées, cette Passion selon Saint-Mathieu célébrée par une cantatrice en baskets blanches, ce passage sur pointe d’une demoiselle tombée des nues, cet écuyer fouettant un canasson fantôme, cet accroche-cœur du bitume sapé comme pour un bal. Au milieu de la tribu, Marie-Caroline Hominal, elle, butinait en chef d’équipage en attendant son heure bleue.

Un rideau cramoisi s’ouvre et se ferme sur un petit défilé (…) Un clown cowboy joue de la trompette, une danseuse un peu ninja asiatique souffle dans un trombone, un percussioniste masqué porte un uniforme de garçon de piste… Cirque, foire aux monstres, cabaret grivois, opéra, plateau de cinéma, on trouve tout ça dans Sugar Dance. (…)Sugar Dance donne à voir ce qui ne se voit pas, à moins de faire partie de la troupe ou d’être le concierge de la salle. C’est un spectacle d’avant le spectacle (…) Marie-Caroline Hominal aime les feux de la rampe et les plateaux qui scintillent, et elle avoue aussi une curiosité pour les loges et les couloirs, là où le bel éclairage cède la lumière aux néons un peu blafards et son Sugar Dance bascule entre ces deux univers. (…) C’est comme si on assistait à quelque chose de très intime, de fragile, et pour le coup, vu les circonstances de la pandémie, oui, être artiste, c’est fragile. (…) Petit à petit, les pièces de ce puzzle s’emboîtent, les neuf personnages, dont la chorégraphe, se trouvent, ils forment troupe, ils font mouvement, élan, spectacle et on découvre que la représentation d’une répétition peut être aussi touchante qu’un spectacle classique.

On semble passer de la répétition, du tâtonnement, à quelque chose qui ressemble à la représentation finale, ou qui va du moins dans cette direction. Alors, le.a spectateur.trice comprend quel est son rôle : de voyeur.se, iel devient véritablement vecteur. trice de partage, en réceptionnant ce qui lui est donné. Les arts vivants n’ont véritablement de sens que lorsqu’ils sont transmis à un public, et c’est sans doute là le message que veut nous faire passer Marie-Caroline Hominal, un message plus que jamais nécessaire.

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Marie-Caroline Hominal, ouvre son champ d’action chorégraphique en bricolant avec ingéniosité de petites maquettes construites avec des matériaux récupérés, en lien avec ses chorégraphies ou pour le seul plaisir de laisser courir l’imagination dans un espace invitant un corps à s’y mouvoir («Maquettes en tout genre et pirouettes»).

«J’ai toujours eu peur de faire du mouvement pour du mouvement alors j’ai tendance à dessiner des maquettes avant de créer», lance en préambule Marie-Caroline Hominal, lauréate d’un Prix Suisse de la Danse 2019, catégorie «Danseuse exceptionnelle». Ces partitions de travail, elle les expose en primeur au Commun. En parallèle, la chorégraphe basée à Genève imagine aussi une performance dédiée à la sculpture-peinture: Fragments. «Je donne à voir des détails de mon corps comme un peintre mettrait en images des gros plans d’un tableau dans un livre d’histoire de l’art». Les récents événements ont-ils influencé ses recherches? Oui, mais pas autant qu’on pourrait le croire. «Mon travail a été impacté par le confinement mais dans un autre univers, j’aurai été influencée par d’autres paramètres. Il s’agit de notre réalité», formule-t-elle. Elle a notamment puisé dans son récent intérêt pour les stories d’Instagram dans Le triomphe de la renommée, des séquences vidéo qui seront également projetées pendant l’exposition. «J’ai flashé tardivement pour ce réseau social. Mais il fallait bien trouver une nouvelle scène pour s’exprimer», finit Marie-Caroline Hominal.

Installée à Genève, elle est aujourd’hui l’un des fleurons de l’art chorégraphique suisse. Ses dernières créations, Fragment et Instantanés, marquent sa facilité à marier différents genres et à projeter la danse dans l’univers de la vidéo, de la peinture et de la sculpture.

[…], le manifeste textile de Marie-Caroline Hominal et Nelisiwe Xaba. D’abord prises dans un dédale de fils de toutes les couleurs, elles s’en extirpent pour entrer dans une forêt de lés de tissus, à l’image de leur perdition entre danses glanées sur youtube, doutes sur leur statut d’autrices et autres réflexions hilarantes.

Elles ont du coffre et foncent. La performeuse suisse Marie–Caroline Hominal et l’artiste sud-africaine Nelisiwe Xaba mélangent leur savoir-faire dans un spectacle tout simplement intitulé Hominal/Xaba. Sur le thème du labyrinthe, elles déroulent des pelotes de laine multicolores comme leur identité plurielle et débordante. Elles s’amusent à se jouer des clichés, des genres et des danses, avec différents pas dénichés sur Internet. Tous les styles habillent ces deux femmes qui ne font qu’une bouchée des modes pour mieux faire surgir un paysage chorégraphique mouvant, joyeux et aventureux.

Un sabbat digne de la plus shakespearienne des sorcières pour un très inconvenant hommage où l’amour d’un petit-fils ose toutes les outrances.

Dans Hominal/ Öhrn, elle [MarieCaroline Hominal] renverse les usages installés. C’est elle qui se tourne vers Markus Öhrn en lui proposant la direction de scène. De vieilles pensées considèrent, plus habituellement, qu’un auteur porteur de projet se met en quête des interprètes qui lui conviendront. La visée scénique s’en trouve ici plus ouverte. Une pièce naît de l’entremêlement de ses propos, essais, mises en formes, intégralement partagés entre deux artistes, qui en viennent à la cosigner, mais encore à la doter d’un titre qui n’est autre que cette cosignature; et qui finissent par performer tous les deux sur scène. À revers et à rebours, notre regard spectateur aura alors tendance à recevoir la pièce à travers une bipartition supposée entre leurs deux apports, du fait de ce qu’on sait par ailleurs de leurs singularités artistiques respectives.

Ce «balance ton porc à la mode scandinave» ne colle pas seulement à Markus Öhrn. Il respire l’air du temps, nauséabond, dérangeant pour cela. Sous son masque de charogne, le regard bleuté de Marie-Caroline Hominal perce parfois. C’est la lumière d’une actrice stupéfiante capable de commercer avec les puissances occultes. L’étincelle d’une liaison dangereuse.

ONE

L’intervista da parte del compagno di scena prende i tratti di un interrogatorio surreale, qui afferma che l’indagine sui temi dell’autorità e dell’identità è un elemento ricorrente nel suo lavoro. Un motivo vasto e raccontato che però Hominal sembra in grado di rappresentare con modalità sconsideratamente creative e venate di follia.

En animatrice de l’émission de radio Where’s the MC, l’artiste profite d’être à l’antenne pour nous divertir derechef. La parole est donnée aux invités pour aborder des sujets tirés au sort dans un saladier, provoquant des conversations totalement absurdes. Des réflexions philosophiques quant à la mort ou à l’infini sont détournées et dérivent sur des recettes culinaires. Les anagrammes se réinventent formant des jeux de mots farfelus, des dates dites importantes sont mentionnées, puis leurs chiffres s’additionnent et l’on divague dans un tohu-bohu d’idées, subitement interrompu par le jingle. Dans cette ambiance de plateau ubuesque où les interventions passent du coq à l’âne, la MC garde le contrôle. Alors que des correspondances se forment, des associations surprenantes donnent un sens nouveau à la conversation dont l’auteur est roi.

Dans Taxi-Dancers à Vidy, MarieCaroline Hominal rappelle cette pratique où des femmes offraient une danse contre un ticket. Fine romance et miroir cruel.” Un air d’autrefois dont Marie-Caroline Hominal restitue parfaitement à Vidy le charme suranné et l’étrange cruauté. Sur des titres sucrés, trois taxi-dancers désœuvrées, tuent le temps en dansotant. Désirs enfuis ou enfouis, attente mortifiante, miroir inquisiteur, séduction sans conviction, bienvenue à Dreamland, joli cimetière des illusions.

Sur le plateau, la chorégraphe, Teresa Vittucci et Ivan Blagajcevic, tous trois censés représenter des taxi-dancers au chômage, reviennent sur les lieux du Dreamland, club fameux. Face au miroir, ils revivent au ralenti, sur un mode hypnotique, un temps passé-présent. Fascinant.

Drei wollen Zweisamkeit “Irgendwann ist bei den drei Darstellerinnen auf der Bühne das eigene Bedürfnis nach etwas Verlustigung grösser, als sich weiter der Tristesse inzugeben. Und so versuchen sie, einander gegenseitig mit vollem Körpereinsatz zum Paartanz zu verführen. Drei wollen, nur zwei können. Spannung baut Hominal auf, indem sie die Charaktere perfekt in Szene setzt.”

Taxi-Dancers handelt von drei Gestalten, die irgendwo übrig geblieben sind oder vor langer Zeit vergessen wurden. Das Tanztrio spielt seine Rolle sehr glaubhaft, und die Tristesse, die es umgibt, scheint ihm während dieser stündigen Aufführung tief im Leib zu sitzen.

Proche de l’autofiction, ce récit en chanson révèle des images de villes à travers le prisme d’une artiste qui aime ajouter des couches multiples à son identité. (…) Sous le nom de Silver, elle lorgne dans Silver Without Gold du côté du métal, donnant de l’importance au matériau pour relever la patte «glitter» de sa performance. Ludique et expérimentale, la Franco-Suisse se rebaptise pour pointer «l’organique et l’artificiel» de notre condition humaine. (…) Où la physicalité se situe ailleurs que dans le mouvement, quelque part dans la voix et son côté terrien ainsi que dans la maîtrise technique de sa console. (…) un solo (…) puissant et animal.

Pièce d’une jubilatoire liberté de ton avec laquelle Marie-Caroline Hominal fait jaillir un univers foufou et néanmoins très rigoureusement agencé, inspiré à la fois du music-hall et du vaudou – les shots de vodka servis en fin de représentation achevant de rendre l’expérience parfaitement grisante.

Froufrou est une pièce réversible. Elle flirte avec la transe et attise l’esprit. Elle est épiderme et concept. Le théâtre et son double.

Mais, outre sa part de désenchantement, sur les beats enivrant de Clive Jenkins, Froufrou sonne surtout comme un rituel festival aux allures de grand carnaval dansé. Où l’on finit par porter le masque plutôt que de l’enlever, brouillant définitivement les pistes de l’identité. Plus chorégraphié qu’à l’accoutumée et orchestré pour un groupe, le mouvement envoûte aussi définitivement l’esprit, Conquis, on repart tel un zombi.

In Ballet volevo rendere complice e testimone il pubblico, volevo far «abitare» il pubblico nella performance, nella totale libertà, senza un inizio e una fine precisi; Ballet è come una giornata in cui ci sono tante cose che succedono.

I don’t know when or how exactly it happened but she moved me. She exposed me, differently than others at other times. She triumphed. Not over me, with me. I realize that I can hear chatter from the back room. I know I won’t be able to hold on to what happened down there for very long. The power will dissolve as soon as I round the corner. So, I wait a couple beats. And leave.

The actress led us inside her own fragility. The sweetness of fame comes at the price of fear of death. But in the mirror, I saw my own fear smothering me in the unreal scene, and she could sense it. Wordlessly, we shared our own fragility that we could not show in public. And out of the 15-min- ute dream that seemed like it never happened.

In this way Hominal’s perfor- mance showed a dominant con- trol and manipulation of Love, Chastity and Death, only to be ended by a 15-minute time limit and an eternity of being embla- zoned in the viewer’s mind.

In a slow motion, stretching sec- onds into minutes, she removed the mask. I could see her. She could see me. No barriers. Her 15 minutes of “Fame” wrapped as she used her personal voice to ask for my name. I paused. All of a sudden, I felt exposed.

I went from initially being put off to completely enraptured and smiling within several minutes.

Ce week-end, la danseuse suisse Marie-Caroline Hominal a mar- qué les esprits. Surtout, Marie- Caroline Hominal touche à l’âme du théâtre. Sous son masque, elle est elle-même et personne. Elle fait don de sa présence et affirme que l’espace théâtral est sacré, c’est-à-dire protégé et hanté; qu’il est fondé sur un jeu de dupes consenti entre l’acteur et le public, sur un échange symbolique qui unit dans l’instant, mais qui n’engage à rien pour la suite.

BAT

Dans BAT- lire par exemple « bon à tirer »-, les coups portés sont rudes, à l’image de la violence qu’elle affiche et que l’on reçoit de plein fouet, nous laissant tout bonnement KO.

Marie-Caroline Hominal invite par ce titre aux multiples facettes à une introspection, un regard subjectif mais réaliste sur la société actuelle.

Et bien qu’elle aspire à dispa- raître c’est son corps, dévoilé jusqu’à la nudité, qui est mis en lumière dans BAT. Signifiant, au bon vouloir du spectateur, Barbie And Tony, Boobs Ass Tits, Bien à Toi, Before Anal Time, Bel Amour Tyrannique, Beef After Tea, Big Anemic Teenagers. Ou n’importe quoi d’autre, pourvu que lui aussi puisse faire son supermarché chez Hominal.

Voice Over n’est d’abord préoccupé que des icônes qu’il enfante. C’est un geste artistique maternel, protecteur et inquiet : la vérité puis la facticité de ses images se révèlent à mesure qu’on les éprouve.

La qualité de la création est due en partie au fait que le corps et sa danse ne sont plus l’apanage des codes chorégraphiques. Mais le résultat d’une observation et d’une réflexion sur la posture, le voguing, et le recyclage post moderne de postures chorégraphiques, d’archétypes issus de shootings de magazines – observation et réflexion qui ouvrent le corps à ses multiples mises en relation avec son environnement culturel, social, politique et artistique.

Duchesses, c’est cela en premier lieu, une performance physique et artistique s’écoulant sur trente-cinq minutes, construite dans le plus simple appareil de ses performeurs, harnachés eux-mêmes du plus simple appareillage qui soit : un cerceau de hula hoop. Ce cerceau que l’on fait tourner autour de son bassin par un chaloupement nerveux des hanches.(…)
Prenant encore une autre perspective, ces deux corps énergiques sont pareils à des noyaux atomiques d’une densité rare, autour desquels gravite, en une folle révolution formant couronne, cerceau elliptique, un cortège d’électrons. Il y a d’ailleurs du magnétisme, des forces d’attraction et de répulsion entre les deux podiums, lorsque leurs planètes s’alignent ou au contraire s’éloignent.(…)
Et lorsque les bras s’élèvent au ciel tandis que le bassin se tord, écartelant ce torse offert aux flèches de nos regards, c’est bien un double portait, en pied, de Saint-Sébastien torturé et extatique qui apparaît sous nos yeux. Toutefois la question de la douleur et du plaisir de ces Duchesses restera insoluble, se fondra dans l’intrication de ses parties, comme un regard révulsé signe à la fois l’insoutenabilité d’une jouissance extrême comme celle d’une absolue souffrance. 
Peu à peu, aiguillonnés par la concentration, l’acharnement et l’endurance des interprètes qui soulignent l’allusion, vous mesurez la portée allégorique de l’exercice. Au-delà d’un acte sexuel en distanciel, vous lisez dans le constant va-et-vient pubien la quête effrénée, solitaire et mécanique de la jouissance : cruel érotisme. 

On Wednesday, at the Invisible Dog Art Center in Brooklyn, a man and a woman, both naked, hula-hooped in silence for 35 minutes. That may sound like a caricature of masturbatory performance art, but most of the work sustained interest, even fascination. To begin with, there was the suspense of whether the performers could keep their hoops going the whole time. They did.

It was pretentious. But it was also surprisingly engaging: well-staged and dramatic. With the statuesque proportions of a Greek god and goddess, the two hula-hoopers achieved what many here are attempting: to become figure skaters on the dangerous thin ice between aesthetics and titillation, frivolity and philosophy.

Revisitant le spectacle de nu, François Chaignaud et Marie- Caroline Hominal transforment un innocent jeu de plage en un duo dansé, aussi idéal que manifeste.

Duchesses est quasi une danse de possession effectuée par des derviches tourneurs urbains. Le hula-hoop, pseudo-symbole de libération sexuelle, s’impose ici comme un nouveau carcan artistique.

Das Fly Girl kann nicht nur schattenboxen und Starposen einnehmen, sie erzählt auch Geschichten. Etwa wie sie von einem grossen Hamburger träumt, den eine Frau auf einer Parkbank verspeist. Es sind pubertäre Träume, denen sie nachhängt: banale, lustige und manchmal gefährliche. Ganz tiefenpsychologisch kämpft das Fly Girl am Ende gegen sein eigenes Über-Ich und verliert. Ob es ihm gelungen ist, Geschichte zu schreiben?